Data: 02/03/2009
Oggetto: Intervento del consigliere provinciale Domenico Nigro
  Intervento del consigliere provinciale Domenico Nigro, già sindaco di Palazzolo, su “Politica, le idee contano ancora?” La lettura di questo breve opuscolo di Giuseppe Matarazzo e di Orazio Mezzio , mi spinge ad una serie di brevi riflessioni, generate anche dal ricordo di una comune esperienza politica, amministrativa e umana, maturata in un arco temporale quasi identico. La prima considerazione è la seguente: il cittadino, oggi più che mai, è portato a considerare la politica, un po’ per qualunquismo, un po’ per vissuto quotidiano, come se si trattasse di uno strumento forgiato da demoni, ad uso e consumo di malandrini, dove la cura del bene comune è concetto puramente residuale , se non del tutto assente ! La piacevolezza di questo libro risiede nella capacità di restituire a chi legge un’immagine della politica fatta di semplicità, di freschezza di tensione morale: la politica intesa come avventura dello spirito, dove un gruppo di giovani, sul limitare dei trent’anni, decidono di porsi, rispetto alla propria Città, non come parte portatrice di problemi, ma come parte risolutrice; la politica concepita come atto di militanza civile, strumento per la realizzazione del bene comune; le opere pubbliche ed i servizi che vengono concepiti in attuazione di un disegno di sviluppo e di crescita della collettività, piuttosto che in omaggio ai propri “ clientes “ o in attuazione dei propri affari. E’ ricorrente nel libro , sin da copertina, il ricorso all’espressione “ bene comune “ : si tratta di un’espressione su cui tutti faremmo bene a meditare, solo quanto ciascun cittadino avrà rielaborato il concetto di bene comune – inteso anche come l’insieme dei valori etici e morali che ci sono stati trasmessi - ci saranno nuovi margini di crescita sociale….in fondo l’attuale “ dirompente “ crisi planetaria – prima finanziaria ora economica - non è altro che il frutto dell’assenza di una qualunque visione etica dell’economia, frutto della dispersione dell’idea del bene comune. La seconda riflessione a cui mi spinge la lettura dell’opuscolo, riguarda gli anni della “ Rivoluzione Silenziosa della Pubblica Amministrazione “, come l’hanno definita gli autori del libro. Più precisamente, molti amministratori, a cavallo degli anni novanta del secolo scorso, hanno vissuto in prima persona e sono stati testimoni di quel profondo processo di trasformazione della Pubblica Amministrazione delineatosi per effetto delle l. 142 e 241 del 1990 e concretamente attuatosi con le leggi Bassanini (l. 59/97, 127/97,191/98 e 50/99) quindi confluito nel T.U. degli EE.LL. del 2000, sommovimento legislativo che, sebbene misconosciuto ai più, ha completamente ridisegnato il sistema complessivo della pubblica Amministrazione in Italia. Per comprendere la portata delle innovazioni legislative verificatesi nel corso degli anni ’90 basta riflettere che il sistema degli EE.LL per oltre settant’anni, con poche innovazioni, era stato retto da un Regio Decreto del 1915 (T.U. delle Provincie e dei Comuni): in un decennio si sono susseguiti almeno dieci fondamentali interventi di riforma della P.A., tutti rivolti, in ultima analisi, a creare un rapporto fiduciario e dialogante del cittadino con la P.A., avvicinando l’Italia all’Europa. Astraendo dalle profonde implicazioni che queste leggi hanno avuto sul piano politico, sociologico e culturale in Italia, in qualche passaggio del libro emerge lo sforzo che l’applicazione delle medesime ha comportato “ sul fronte “ e al tempo stesso “ nelle retrovie “ del nostro Paese. La lettura dell’opuscolo ha richiamato alla mia memoria i confronti, le tensioni, le difficoltà, le resistenze incontrate ad attuare un modo nuovo di concepire la Pubblica Amministrazione. Traspare anche nel libro la cocente delusione che alle profonde innovazioni nella Pubblica Amministrazione e, in modo particolare nel sistema degli EE.LL., con l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle provincie,lo sbarramento dei due mandati, la distinzione tra organi di indirizzo politico e gestionale, con tutti i loro corollari non sia seguita una profonda revisione dell’architettura politica- istituzionale del nostro Paese. Anzi le assemblee regionali e nazionali si sono dotate di sistemi elettivi autoreferenziali e a doppia mandata, impedente quel ricambio generazionale fisiologico in qualunque vera democrazia. Altra riflessione che la lettura dell’opuscolo ha evocato in me riguarda le comuni esperienze in tema di programmazione negoziata e l’inserimento del Val di Noto e di Pantalica nell’ambito della W.H.L.: esperienze importanti sul piano politico, amministrativo ed umano. Tuttavia diversamente da Mezzio penso che si tratta di iniziative che alla fine non hanno avute le ricadute sperate e certamente non hanno operato come volano dello sviluppo del nostro territorio: montagne che alla fine hanno partorito topolini, strumenti che non sono riusciti a trasformarsi in sviluppo sostenibile. In questa rivisitazione del suo passato politico, Mezzio omette – ci avrei scommesso - qualunque considerazione su di un’esperienza condivisa insieme – la costituzione dell’Unione dei Comuni della Valle degli Iblei - che al di là di qualunque considerazione ha avuto il grande merito di porre in dialogo, in una visione di sviluppo complessivo del territorio, realtà municipali e soggetti che per secoli non avevano mai dialogato, e soprattutto, che ha reso i sindaci – senza intermediazioni di partiti politici e di padrini – artefici del destino del loro territorio. Mi pare conclusivamente - l’osservazione è strettamente personale, forse deviata da personale “ distorsione cognitiva “ dei fatti, che dall’opuscolo emerge un messaggio e una morale: a salvare l’Italia non sarà il federalismo fiscale né una profonda innovazione dell’architettura istituzionale del nostro Paese, ma il recupero del concetto di BENE COMUNE che , direttamente o indirettamente, è il filo conduttore e il protagonista principale di questo opuscolo.
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