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Michele Mangiafico, oltre ad essere il presidente del Consiglio provinciale, è anche un giornalista iscritto all’Ordine. Ha voluto ricordare Saretto Leotta nella duplice veste di rappresentante di una istituzione e di collega.
Sfogliando in questi mesi – ha scritto Mangiafico - la rassegna stampa di mia madre, che raccoglie avvenimenti che hanno segnato la storia della nostra città negli ultimi trent’anni, ho incontrato spesso la firma di Saretto Leotta. Erano amici. Ed oggi che la raggiunge, la sua partenza non mi lascia indifferente. In genere, quando va via un giornalista, porta con sé tutti quei fatti che hai visto con gli occhi suoi e ti passa davanti una carrellata di immagini. Nel caso di Saretto Leotta, non è una cronaca asciutta quella della sua scomparsa. Testimone attento e profondo dei disagi, dei drammi, delle storie di povertà e di angoscia della nostra comunità, non si è privato mai degli aggettivi per renderci partecipi di un mondo che non sempre era il nostro. E sarebbe ingiusto oggi non riconoscergli uno sguardo premuroso, una propensione sociale e un invito al riscatto di fronte a tanta sofferenza testimoniata con i propri occhi. Un esempio fra tutti, ma significativo. Nel settembre del 1989, a fronte dell’occupazione abusiva degli alloggi di via Algeri, scriveva: “Uno squallore che neanche un’operazione di bonifica in profondità potrà facilmente cancellare. Eppure è tanta l’ansia di avere un tetto da sfidare, oltre alla legge, il pericolo incombente di infezioni provocate da siringhe abbandonate. Angoscia e anche rabbia per non poter essere ospitati in un appartamento dai servizi decenti, funzionale e sicuro e soprattutto, proprio. Non è la prima volta peraltro che gli appartamenti, senza porte e senza finestre, vengono presi di mira dai senzatetto. Né sarà l’ultima”. Guardava lontano e da lontano continuerà a guardarci.
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